Quando il capo fa male: il mobbing lascia segni nel cervello (e nel sangue)
- italianstressnetwo
- 29 mag
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Che il mobbing, inteso come forma di violenza psicologica sul lavoro, faccia male alla salute non è una novità. Ma perché accade, a livello biologico?
Sebbene sia spesso sottovalutato, questo rappresenta una delle forme più insidiose di stress cronico. Umiliazioni, esclusioni sociali, attacchi verbali o svalutazioni sistematiche non solo compromettono il benessere psicologico, ma — come dimostra una nuova ricerca pubblicata su International Archives of Occupational and Environmental Health — possono lasciare un’impronta biologica profonda e misurabile nel corpo, coinvolgendo sia il sistema nervoso che quello immunitario.
Il team di ricerca norvegese ha affrontato la questione in modo multidisciplinare, integrando dati da modelli animali, colture cellulari e un ampio campione di lavoratori umani. Nei ratti, lo stress da “sconfitta sociale” (una forma di bullismo sperimentale) ha portato a un marcato aumento della noradrenalina, l’ormone chiave nelle risposte di attacco o fuga, accompagnato da un drastico calo dell’interazione sociale. Questo suggerisce una connessione tra l’attivazione dello stress e la tendenza all’isolamento, tipica dei soggetti sottoposti a mobbing.
In parallelo, in laboratorio, cellule immunitarie umane esposte alla noradrenalina hanno mostrato una riduzione del recettore β2-adrenergico (ADRB2), accompagnata da un aumento della proteina infiammatoria MCP-1. Ciò indica che un’esposizione cronica agli ormoni dello stress può alterare l’equilibrio immunitario, favorendo uno stato infiammatorio di basso grado, spesso associato a disturbi dell’umore come l’ansia e la depressione.
Ma la vera novità arriva dai dati umani. Analizzando la genetica di oltre mille lavoratori norvegesi, gli autori hanno scoperto che le persone portatrici della variante CC del gene ADRB2 sono più suscettibili all’ansia in risposta al mobbing, rispetto ai portatori dell’allele G, più resilienti. In questi individui, il recettore β2-adrenergico si desensibilizza più facilmente, compromettendo la regolazione dello stress e amplificando la vulnerabilità psicologica.
In sintesi: il mobbing non è solo una questione di relazioni tossiche, ma un potente fattore di stress cronico capace di disturbare profondamente l’equilibrio mente-corpo. Lo studio sottolinea l’urgenza di intervenire nei contesti lavorativi non solo per ragioni etiche e sociali, ma anche per prevenire serie conseguenze psico-fisiche. E, forse in futuro, si potrà persino pensare a interventi personalizzati, che tengano conto della nostra “firma genetica” nella risposta allo stress.
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